COVID e la malattia grave associata alla vaccinazione (VAED: Vaccine-Associated Enhanced Disease). La rinuncia all’individualità per essere aggregati in una singolarità, una perdita del prezioso rapporto medico paziente, una spesa ed un rischio.
La malattia potenziata associata al vaccino (VAED) è un serio ostacolo al raggiungimento di vaccini virali di successo nella medicina umana e veterinaria. La VAED si presenta come due diverse immunopatologie, il potenziamento della malattia anticorpo-dipendente (ADE: antibody-dependent enhanced) e l’ipersensibilità associata al vaccino (VAH: vaccine hypersensitivity reactions). [1]
Nella risposta immune primaria la produzione delle IgM in ± quinta giornata precede la risposta IgG in ± ventunesima giornata [2]; in quella secondaria si osserva la rapida stimolazione clonale e quindi anche la rapida risposta umorale (IgG prevalente).La memoria immunologica specifica perdura almeno otto mesi dall’infezione e probabilmente, come noto per altri antigeni, persiste per diversi anni [3].
La proteina spike è un trimero, ogni monomero è costituito da due subunità S1 e S2. In S1 sono contenuti gli epitopi RBD (Receptor Binding Domain) e NTD (N-terminal domain), che sono i siti più immunogenici. I vaccini inducono la produzione di anticorpi “neutralizzanti” verso gli epitopi RBD ma, talvolta, inducono una “Vaccine-associated enhanced disease“ (VAED). Talvolta gli anticorpi di memoria cross-reattivi ai coronavirus correlati, non solo non sarebbero protettivi, ma addirittura aumenterebbero l’infezione e la gravità del decorso clinico. Tale fenomeno di potenziamento anticorpo dipendente (ADE) è già stato descritto in diverse infezioni virali [4].
Il fenomeno del peccato originale antigenico (original antigenic sin) è stato inizialmente descritto per l’influenza [5] [6]: in una prima infezione o vaccinazione, a seconda degli antigeni (diverse centinaia) contro i quali si producono gli anticorpi in una seconda immunizzazione influenzale e con un diverso pattern antigenico coinvolto, il sistema immunitario talvolta potenzia gli anticorpi contro il vecchio antigene e non riconosce i nuovi antigeni.
Questi anticorpi di memoria cross-reattivi ai coronavirus correlati non solo non sarebbero protettivi, ma addirittura aumenterebbero l’infezione e il progresso clinico (ADE) [7]. Gli anticorpi prodotti contro gli antigeni della glicoproteina spike SARS-CoV aumentano il legame del virus ai recettori FcγRII e quindi aumentano l’assorbimento da parte delle cellule ospiti [8] [9].
Nel corso dello sviluppo di un vaccino contro il virus respiratorio sinciziale (RSV) è stato dimostrato che l’80% dei bambini vaccinati ha richiesto il ricovero durante una successiva infezione da RSV, in cui due bambini sono morti, mentre solo il 5% dei controlli ha avuto un decorso grave [10]. Il ruolo dell’ADE nella SARS-CoV-2 non è chiaro. [11] Il normale ingresso virale attraverso il RBD-ACE2 porta alla via endosomiale/lisosomiale in una cellula suscettibile alla SARS-CoV, mentre l’ingresso attraverso il sito di legame dell’anticorpo FcγRII non lo fa e può portare all’ADE [12].
Gatti vaccinati con la proteina spike del coronavirus felino hanno in seguito all’infezione da coronavirus manifestato l’ADE [13] [14].
Senza poter valutare i complessi equilibri qualitativi della continua e diversificata stimolazione policlonale è possibile che il semplice eccesso di anticorpi posa indurre la formazione d’immunocomplessi determinando lo sviluppo della tempesta di citochine che è tipica del grave COVID-19 [15].
È stato osservato che un’alta risposta anticorpale (IgG > 2 volte del valore di cutoff) si associa ad una clearance virale ritardata e ad una maggiore gravità della malattia. I pazienti hanno mostrato solo nel 9% una clearance del virus dopo 7 giorni dallo sviluppo delle IgG, mentre i deboli IgG responder lo hanno eliminato nel 57% dei casi [16].
Un potenziante ruolo degli anticorpi di memoria cross-reattivi sull’infezione potrebbe anche essere il motivo per cui il periodo d’incubazione è relativamente lungo in alcuni pazienti. In uno studio con 587 casi il 6,6% (n = 39) ha avuto un periodo di incubazione più lungo di 14 giorni [17].
L’assenza di una memoria immunitaria per una precedente infezione da coronavirus e quindi l’assenza di ADE [18], potrebbe essere la spiegazione della relativa assenza di segni clinici d’infezione nei bambini [19] [20].
Norme vaccinali anti COVID
I soggetti che hanno già sviluppato titoli anticorpali elevati dopo malattia o dopo vaccinazione non richiedono la somministrazione del vaccino o, almeno non più di una singola dose. [21]
Si è sempre pensato che fosse necessario valutare l’esistenza di una precedente infezione da SARS-CoV-2 prima di sottoporre tutti i soggetti in maniera indiscriminata alla vaccinazione; le conoscenze immunologiche ci dicono infatti che indurre riposte immunologiche troppo elevate può essere non solo inutile ma anche dannoso. [22]
il sistema vascolare è coinvolto nel COVID-19 sia direttamente dal virus SARS-CoV-2, sia indirettamente a causa di una tempesta infiammatoria sistemica da citochine. [23]
I fogli illustrativi dei vaccini a mRNA e/o a vettore virale approvati da FDA, EMA e AIFA attualmente in uso i in Italia (Comirnaty-Pfizer [24], Spikevax-Moderna, Janssen-J&J) riportano fra gli effetti collaterali quelli coinvolgenti il sistema immunitario: reazioni da ipersensibilità di I tipo (topiche e sistemiche) e soprattutto linfoadenopatia (5,2% vs 0,4% al 3° richiamo).
Il sistema immunitario talvolta sbaglia ed in seguito a stimoli sia attivi (infezioni, parassitosi) sia passivi (vaccini, farmaci) può creare malattia. Il dato di fatto non si presta ad una chiara comprensione, infatti, nel 1964 due immunologi Philip Gell e Robin Coombs avevano classificato le reazioni avverse in IV classi e da allora diversi sono stati i tentativi di chiarimento/revisione. [25] [26]
È noto che la riesposizione antigenica può determinare un’immunoflogosi sia localizzata alla sede d’iniezione (edema, eritema, emorragia, necrosi) sia sistemica (febbre, dolori muscolari e/o articolari e, sia pure molto raramente, malattia da siero, orticaria, glomerulonefrite). Quasi sempre è presente linfoadenomegalia.
Il fenomeno di Arthus è causato da immunocomplessi fissanti il complemento e la successiva liberazione dei mediatori dell’infiammazione e di un fattore chemiotattico che attira i neutrofili che precipitano nelle pareti vascolari, nei glomeruli renali e nel collageno.
Le IgG in 109 soggetti con o senza pre-esistente infezione sono molto diverse tra i 68 soggetti sieronegativi e i 41 sieropositivi, in quanto i primi mostravano bassi titoli anticorpali entro 9-12 giorni dalla vaccinazione, mentre i secondi sviluppavano elevati titoli di anticorpi anti-SARS-CoV-2 molto rapidamente dopo la vaccinazione (10-20 volte più elevati dopo la prima iniezione e ancora 10 volte più elevati dopo la seconda inoculazione). Inoltre, i soggetti sieropositivi sviluppavano in seguito alla vaccinazione una frequenza significativamente più elevata di effetti collaterali sistemici (astenia, cefalea, brividi, febbre, dolori muscolari e/o articolari) rispetto ai soggetti che non avevano avuto l’infezione.
In un rapporto di EudraSurveillance si riporta che il numero delle reazioni avverse da vaccinazione anti-SARS-CoV-2 registrate in Italia risulta superiore di almeno 5 volte rispetto a quello registrato in Spagna e di ben 7 volte rispetto a quello registrato nel Regno Unito, in Olanda, Germania e Francia. Non si pensa che questa differenza straordinaria sia solamente dovuta alla vaccinazione indiscriminata condotta nel nostro paese includendo anche i soggetti già infettati, ma certamente questo può essere uno dei motivi per spiegare una simile differenza.
In conclusione, dall’analisi della letteratura sembra sia evidente la necessità di evitare i richiami vaccinali di massa ed in particolare la vaccinazione dei soggetti che hanno già avuto l’infezione COVID. Tre sono i diversi ordini di motivi: 1) perché questi soggetti sono già protetti; 2) perché l’induzione di una risposta anticorpale eccessiva potrebbe troppo spesso risultare dannosa; 3) perché ciò consentirebbe un risparmio delle dosi di questo vaccino così prezioso, in quanto decisamente protettivo nei confronti sia dell’infezione e sia dello sviluppo della malattia.
Bibliografia
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